giovedì 2 gennaio 2014

Parlatemi.

È inutile che mi fissate insistentemente con aria attonita: ben lo so, sono pazzo.
Sono impazzito all'età di cinque anni quando sentii scendere come pioggia le urla dei miei genitori i quali non facevano altro che litigare.
Avrei preferito che facessero l'amore.
Da quel momento ho smesso di parlare e ho iniziato a mangiare unghie. Mmm, che goduria, non potete neanche immaginare quanto sono succulenti e cheratinose le mie unghie! Una delle tante esperienze inafferrabili per chi non sa gustare.
Sono maschio e al mio decimo compleanno adoravo giocare con i pony. Mio padre non mi sopportava per questo. Mia madre singhiozzava parlandone con le sue amiche. I miei compagni non concepivano la magia di questi minuscoli cavalli celesti, lilla, verde marino con code elefantesche e mille storie da inventare. Mi soprannominavano 'femminuccia' e come conseguenza andai fuori di senno un'altra volta. Per non piangere pregavo, per non pensare immaginavo inaccadibili scene. Alla fine il sessanta percento della vita è immaginazione: tutto dipende. Dipende come interpreti le frasi, come valorizzi l'esistenza, come affronti le difficoltà, quali sono i tuoi sogni miscelati alla tua tenacia. Essenzialmente dipende. Ho detto addio al mio equilibrio mentale quando mi innamorai di Dora. Io l'amavo, ma non come gli uomini normali che stanno per un po' e poi se ne vanno. Io sarei rimasto per sempre. Io l'amavo anche se glielo confidai solo una volta dipingendo il suo meraviglioso sorriso e lei come risposta mi fece notare che, invece, i miei occhi non erano un granché e che avrebbe preferito un uomo dagli occhi blu. Io credevo che le mie due biglie nere fossero nella loro stranezza stupende. Non sapevo più chi ero. Ero l'io che sostenevo di essere, ero io che lei vedeva o ero l'io che mia nonna baciava ogni domenica? Per sicurezza e per nascondere quello scempio della natura mi comprai un paio di occhiali dalla montatura corvina che indosso ancora oggi. Perché Dora me l'hai fatto pesare? Sono impazzito quel giorno in cui ho proferito il mio addio alle donne per dedicarmi al mio secondo interesse più forte. Ho sempre ambito a diventare calciatore. Banale e scontato, voi direte, ma io avevo davvero la stoffa da difensore: farei di tutto per difendere ciò che possiedo persino per i miei occhiali da vista neri che, come ben sapete, stanno ancora sul mio naso. Era il mio sogno, ma sin dal primo giorno il mio allenatore mi spedì in panchina senza nemmeno provare a spiegarmi come si dribbla o come si scarta un giocatore. Non ho mai capito perché voi normali tendete ad annientare i sogni. Non m'importa se per voi una persona non si abbina ad un sogno. Un sogno ha risvolti imprevedibili, un sogno andrebbe alimentato come fate quando gettate un legno nel fuoco di un camino. Avete visto che fiamma che fa? L'unica volta che mi sono sentito normale è stato il giorno del mio trentesimo compleanno, un traguardo importante che ho voluto festeggiare da solo alla mensa caritas con un pasto completo come non facevo da anni. C'era addirittura il dolce ad aspettarmi! Sul pullman avevo sentito dire che in quel luogo danno da mangiare solo agli stranieri perché sono i soliti privilegiati.
E, invece, offrirono cibo anche ad un pezzente, brutto e puzzolente italiano come il sottoscritto. Vi dirò di più: nessuno mi fissava, nessuno mi evitava, solo gentilezza.
Mi sedetti da parte ad una pianta verde e iniziai a mangiare. Cominciai a tagliare la carne, a masticare con i denti, a spezzare il pane con le mani come facevano tutti gli altri. Respiravo, avevo due braccia seguite da due lunghe mani, avevo due occhi, anche se brutti, avevo due occhi come tutti gli altri. Mi resi conto di stare sperimentando quell'esperienza chiamata normalità.
In forza a questa rinnovata verità andai in banca a chiedere un prestito per dare vita ad una libreria tutta mia. La mia terza passione: i libri.
Quello zoticone di bancario mi sputò in faccia che dovevo tenere i piedi per terra, che ero un lurido barbone e che, se ero fortunato, al massimo sarei riuscito a diventare il nulla.
Piansi. Presi a cazzotti il bidone della spazzatura che in trent'anni di vita era stato più utile di me che non ero niente e niente mi apparteneva.
Non so dove dormii, probabilmente in un luogo freddo perchè mi svegliai con le punta delle dita congelate. Alle nove del mattino entrai nella biblioteca comunale per leggere quei libri che non avrei mai consigliato, che non avrei mai venduto.
Meditai parecchio: aveva ragione l'uomo di banca, ero un pezzente.
Quel maledetto, però, dava ancora una speranza a questo conito di vomito: sarei potuto diventare il Nulla.
Se ci pensate il nulla esprime un sacco di sentimenti. Il Nulla non fa parte solo di me, fa parte di voi tutti quando nel vostro cervellino non vi è altro che silenzio, quando si è spenta la luce della speranza, quando siete soli e vorreste sbattere la testa contro il muro, quando vorreste urlare, ma nessuno ascolta il vostro pianto, quando la morte vi schiaffeggia con la sua peggiore veemenza. Leopardi non ha torto: non siamo altro che vulnerabilità, siamo più deboli delle formiche che con prepotenza schiacciamo.
Amo stare con voi a leggere libri in quella stanza verde della biblioteca.
Adoro la vostra compagnia nonostante le vostre occhiate cattive che mi elargite per come leggo, per come cammino, per come tossisco. Lo so, faccio tutto in modo strano, ma sono contento di comunicarvi qualcosa.
Io parlo sempre con voi, siete voi che non parlate mai con me.
Passerò la nottata a memorizzare ogni volto impermeato dall'allegria di una festa ben riuscita. Tra poche ore saremo nel 2014 ed io è da anni che non faccio altro che raccontare di ognuno di voi, forse è per questo che mi schivate.
Io sono quel serpente che si arrotola silenziosamente intorno al vostro collo per poi stringere e strozzare.
Oggi io sono il Nulla, ce l'ho fatta. E tu cosa sei diventato?
Per il nouvo anno desidererei esclusivamente un gesto d'amore, un sorriso, ad esempio.
Adoro leggere libri con voi in biblioteca.
Buon anno, volevo solo dirvi che sono pazzo.

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